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Ubicazione

Difficoltà percorso

La via coincide con il sentiero n. 150 che collega il paese di Marciana Marina all'abitato di Sant'Andrea ed è un percorso escursionistico panoramico, affacciato sul mare, che riprende il reticolo delle storiche mulattiere, appoggiandosi in alcuni tratti alla più recente viabilità carrabile che serve alcune frazioni e abitazioni sparse fra i pendii costieri. Si tratta della vecchia via di collegamento che univa gli abitanti distribuiti ai piedi del Monte Capanne: anticamente le mulattiere in questione attraversavano i terrazzamenti realizzati per la coltivazione della vite e alcune estensioni di lecceta, il bosco di Quercus ilex , utilizzato pèer la produzione del carbone di legna. Sia i terrazzamenti, sia i sentieri realizzati in questo versante sono piccoli capolavori di una spontanea ingegneria rurale chde permetteva il manmtenimento del territorio contro le minacce del dissesto idrogeologico. Oggi una profumata macchia mediterranea, ricca di cisti, mirti, ginestre, eriche, insieme al bosco di leccio e con un'abbondante presenza di lentisco - pianta sempreverde a portamento arbustivo, ben apprezzabile lungo il percorso - ha occupato nuovamente i terrazzamenti coltivati a vite, con le fioriture di primavera che colorano i pendii caratterizzati da prevalenti rocce granitiche.

Lungo il tracciato sono posizionati 5 picchetti che segnalano i seguenti punti di interesse :

punto di interesse 1A - Lentisco

Si tratta di un tipico componente della macchia isolana accompagnando cisti, eriche, filliree, alaterni, viburni, corbezzoli, mirti, ginestre e lecci. È una pianta eliofila, termofila e xerofila dal vasto areale mediterraneo che va dalle Isole Canarie all'Asia minore, vegetando dal livello del mare fino a 600 metri: in Italia è presente in tutta la penisola ad eccezione delle regioni settentrionali, molto adattabile per il terreno e prediligendo i suoli silicei.  Arbusto sempreverde alto da 1 a 3 metri, può raggiungere a volte il portamento di un piccolo alberello con altezze fino a 4-5 metri. Nelle situazioni più isolate e ventose il lentisco assume la tipica forma globosa, un vero cespuglio arrotondato come un grande cuscino, abbassandosi con strutture prostrate, raggiungendo le prime posizioni direttamente sul mare, resistendo al sale portato dal vento.  Il robusto apparato radicale gli permette di vegetare indisturbato anche nelle estati più calde quando le altre specie appaiono sofferenti e ingiallite. La sua struttura risulta diversa negli esemplari cresciuti nel folto della macchia o nel sottobosco dove la statura sarà maggiore e più scomposta nella competizione per la luce solare. La corteccia ha un colore cenerino nei rami più giovani e bruno-rossastra nel tronco. Le foglie sono alterne e composte formate da due fino a sei paia di foglioline glabre e coriacee, ovato- lanceolate con margine intero, di un verde cupo sulla pagina superiore e più pallido su quella inferiore. Il loro colore può arrossarsi nella più fredde giornate invernali.  È pianta dioica, vale a dire ha i fiori femminili e quelli maschili portati separatamente su piante differenti, comunque poco appariscenti poiché privi di corolla, che si mostrano da marzo a maggio. Più visibili sono i frutti, le drupe rossastre già visibili in estate, nere a maturazione, che colorano le chiome del lentisco nel periodo autunnale e invernale. Il lentisco è importante dal punto di vista forestale per la capacità di reagire al passaggio del fuoco ricacciando dalla ceppaia grazie ad una forte proprietà pollonifera.

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punto di interesse 1B- muretti a secco

Alcune immagini ormai storiche, vecchie foto dei pendii del Monte Capanne, ci mostrano un territorio che appare diverso da quello attuale, probabilmente meno verde dall'odierno, un paesaggio in cui i fianchi della montagna erano per la gran parte trasformati in terrazzamenti coperti da filari di vite. Si trattava del risultato di una millenaria opera effettuata dagli Elbani, anticamente più contadini che pescatori e marinai, per necessità e tradizione, al fine di ricavare terreno coltivabile. Dapprima si effettuava uno scasso, poi si cominciava a disporre la fondazione con blocchi di maggiore dimensione e poi si andava a salire con pietre più piccole. Gli interstizi erano tamponati con scaglie più piccole e materiale minuto per favorire il drenaggio. Nelle zone più rocciose si riempiva la fascia così ricavata con terra fertile prelevata altrove. Ad intervalli regolari poi erano situate scalette sempre in pietra per accedere ai terrazzamenti superiori. Gli abitanti di questa zona forse non avevano molta scelta, ma da sempre si erano dati da fare per trasformare i fianchi della montagna in un grande giardino di vigneti, orti e frutteti. La coltivazione della terra e la vendita del vino era la principale fonte di guadagno, occupazione a cui si affiancava un po’ di caccia e una piccola pesca per soddisfare le modeste esigenze familiari.  Era un'economia faticosa, ma rispettosa dell’ambiente e integrata con esso. Oggi una rigogliosa macchia sta ritornando sulla maggior parte dei terrazzamenti abbandonati. Un occhio attento sa ancora leggere le caratteristiche di questo “micropaesaggio”, dove una pietra - una pianta, un albero, un fosso, un sentierino avevano importanza e significato particolare. Qui dominava la “cultura” dell’agricoltura, un’attività di tipo intensivo, curata nei minimi particolari, quasi un’arte che ci fa ricordare gli esempi della costa ligure. Nei secoli più recenti gli abitanti erano sparsi in piccoli centri rurali, anche non lontani dalla costa, modesti agglomerati collegati via mare o con le mulattiere, gli odierni sentieri che stiamo percorrendo. Di seguito un'immagine di come si presentava un tempo la zona. 

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punto di interesse 1C - Fosso dei Pizzenni

Il Capanne, rappresentando un massiccio montuoso seppur di modeste dimensioni se paragonato ai non lontani rilievi della Corsica, costituisce climaticamente un’isola nell’isola. Il monte riesce ad ostacolare il transito dei corpi nuvolosi che provengono da nord, accumulando sul suo settore settentrionale una buona quantità di precipitazioni. Ed è infatti sui fianchi del Monte Capanne che si registrano le maggiori piovosità, soprattutto sul versante settentrionale del complesso montano dove si raggiungono valori medi annui di circa 950 mm di pioggia. Questo fenomeno ha permesso lo sviluppo di corsi d'acqua, al giorno d'oggi ad evidente regime stagionale, che nei millenni hanno inciso profondamente i fianchi del rilievo, creando particolari habitat freschi e umidi.  Il letto della vallata è in genere ben caratterizzato dalla presenza dell'ontano nero (Alnus glutinosa), pianta arborea alta fino a 25 metri che ama i terreni umidi, creando delle formazioni riparie, piccoli alneti lineari, che nella bella stagione con la loro ombra contribuiscono a mantenere un microclima fresco lungo i fossi. Gli ontani dalla fioritura caratterizzata da amenti penduli che compaiono prima delle foglie tra febbraio e aprile spesso sono avvolti dalle liane della vitalba (Clematis vitalba), robusta specie rampicante.  Ancora nelle vallate umide tra le specie arboree sono i salici (Salix sp.), anche se meno frequenti degli ontani. Lungo i corsi d'acqua abbondano le felci (Dryopteris sp.), tra le quali merita una speciale menzione la felce florida (Osmunda regalis) importante relitto termofilo dell'era terziaria, ancora discretamente diffusa all'Elba soprattutto sui fianchi settentrionali del Capanne e sempre più rara sul continente. Le vaschette che si creano lungo le gole possono ospitare altre specie amanti dell'umidità quali il sedano d'acqua (Apium nodiflorum), sull'Elba conosciuto col nome vernacolare di gargalastro, la lenticchia d'acqua (Lemna minor) e alcune specie di menta (Mentha sp.) che con la loro profumata fioritura richiamano decine di lepidotteri e altri insetti impollinatori. 

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 punto di interesse 1D - lentisco

Il lentisco è una pianta che appartiene alla tradizione etnobotanica, all'economia mediterranea e di questo Arcipelago sin dai tempi più remoti. Il tronco e i rami incisi producono una resina di piacevole odore detta “mastice di Chio”, dall'isola greca che ne era la maggiore produttrice, masticata dalle donne greche e del bacino del mediterraneo orientale per profumare l'alito, pulire i denti e rafforzare le gengive. Sulla stessa isola di Chio oggi la conoscenza e pratica della produzione del mastice sono un bene protetto dall'UNESCO. Soprattutto in antichità le sue drupe sarebbero state utilizzate per conferire aroma ai piatti, per insaporire e marinare pesci, carni e selvaggina anche sulle nostre isole; ancora, con le drupe mature si produceva un olio usato per cucinare. Lo stesso olio veniva adoperato anche per i lumi. Nella tradizione popolare elbana il decotto delle foglie e delle bacche era ingerito per abbassare la pressione arteriosa oppure usato come collutorio contro il mal di denti e le infiammazioni alle gengive. In ambito veterinario i frutti venivano aggiunti alle granaglie delle galline per avere tuorli delle uova più rossi. All’Isola del Giglio la resina del lentisco riscaldata era tradizionalmente applicata sugli ascessi con azione antinfiammatoria e analgesica. La stessa resina, nel grossetano, era utilizzata sulle ferite per facilitare la cicatrizzazione. Il suo legno era impiegato insieme a quello di altre piante della macchia per produrre un ottimo carbone. Dal mastice del lentisco in Grecia si produce ancora un liquore di uso comune denominato “Mastika”. In passato la raccolta delle drupe mature era un'attività destinata alle donne che percorrevano le macchie ricche di piante di lentisco. Tra queste terre era l'isola di Pianosa. Narra Mario Pratesi (1905) che raccolse le memorie di un vecchio comandante del presidio ottocentesco della piatta isola allora quasi disabitata, nella prima metà di quel secolo “… per quegli scogli non vedevano mai nessuno, se non capre selvatiche e gabbiani … Meno male che ogni tanto capitavano dall'Elba certe donne a cogliere il lentisco per ricavarne un po' d'olio, e allora era una gran festa per que' soldati ...

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punto di interesse 1E - geosito (granito)

È la formazione geologica che costituisce la gran parte dell'Elba occidentale formando il massiccio del Monte Capanne, il cui picco culmina sui rilievi limitrofi con i suoi 1019 metri sul mare. Si tratta di una roccia magmatica intrusiva dalla colorazione da grigio chiaro a grigio più scuro, appartenente alla famiglia dei graniti, che si sarebbe formata tra i 7 e i 6 milioni di anni fa. Minerali componenti essenziali sono plagioclasio, ortoclasio, quarzo e biotite, mentre tra gli accessori troviamo apatite, zircone, magnetite, tormalina, allanite, rutilo e uraninite. La sua tessitura è granulare, la struttura è massiccia con grana media o fine. La composizione delle granodioriti è piuttosto simile a quella dei graniti di tipo S, derivanti da fusioni di rocce crostali,  tant'è che visivamente sono facilmente confondibili, soprattutto ad occhi profani. Entrambe le rocce, comunque, fanno parte della grande famiglia delle rocce granitoidi. Per essere ancora più precisi la massa costituente la maggior parte del Monte Capanne è indicata oggi dai geologi come monzogranito o, meglio, leucomonzogranito, per la particolare tonalità chiara e in essa sono individuati tre corpi rocciosi (facies) leggermente diversi per composizione chimica e tessitura (geometria dei vari componenti minerali). Le tre masse sono indicate come Facies di San Piero, Facies di San Francesco (la più estesa per superficie esposta) e Facies di Sant'Andrea, la zona interessata dalla via dei Lentischi.  La granodiorite elbana è spesso caratterizzata da vistosi cristalli di ortoclasio in alcuni casi spettacolari e geminati e da inclusioni scure costituite essenzialmente da minuti cristalli di plagioclasio e biotite, probabilmente porzioni di mantello rimaste intruse nella massa magmatica di origine più superficiale. Ciò è particolarmente vero proprio per la zona costiera nella zona di Sant'Andrea (la ricordata facies di San'Andrea), soprattutto nel tratto che si estende da Capo Sant'Andrea al lido del Cotoncello dove vistosi cristalli bianchi, alternati a vistosi corpi scuri si stagliano sulla massa grigio-chiara della granodiorite.

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Pubblicato in La Via dell'Essenza
Giovedì, 06 Luglio 2023 06:42

Villa Romana (Isola di Gorgona)

Centri visita e siti storico-archelogici

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Come quasi tutte le altre isole dell'Arcipelago Toscano, Gorgona - l'antica Urgo o Gorgon – è stata nell'antichità crocevia di commerci e tappa nella navigazione per il rifornimento idrico, oltrechè, nella prima età imperiale dell’epoca romana, sede di ville di otium, ovvero di soggiorno marino per i ricchi proprietari: ville marittime decoratecon pavimenti a mosaico e in opus sectile (tarsie marmoree), pareti e soffitti con intonaci dipinti. Nell'isola di Gorgona sono state ad oggi individuate strutture archeologiche di epoca romana in siti diversi ma sempre sul versante rivolto verso il porto. A Cala di Scalo è visibile un tratto di muro in opera reticolata nella scarpata, mentre ampi tratti di una parete sempre in opera reticolata romana appaiono inglobati nei muri esterni di Villa Margherita, risparmiati dall'intonaco e lasciati in vista in occasione della ristrutturazione dell'edificio. Il complesso archeologico più importante di Gorgona è però quello emerso nel 1993 in località Limiti, a seguito di uno scavo archeologico effettuato a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana che mise in luce alcuni vani appartenenti ad una villa marittima databile tra la fine del I secolo a.C.  e gli inizi del I secolo d.C.

I resti della villa consistono in cinque vani adiacenti. Un ambiente lungo e stretto (vano I) addossato al terrapieno, con pareti in tecnica mista, conservate fino a 3,20 m di altezza, pavimento in cocciopesto, coperto di una volta cementizia e fornito di un soppalco ligneo, è da interpretare come horreum (magazzino).  A ridosso di questo si trovano altri tre ambienti comunicanti tra loro con elevato in opera reticolata, conservati fino a 1 m di altezza: un corridoio stretto (vano 2), un piccolo vestibolo (anticamera - vano 3) ed un cubicolo (camera da letto - vano 4), con pavimenti a mosaico con tessere bianche e nere; il cubicolo ha pianta ad L. ed il mosaico forma due tappeti alle estremità, a delimitare lo spazio delle alcove. Un ulteriore ambiente, verso est, contiguo al cubicolo, a pianta rettangolare con pavimento sempre in tessere bianche e nere e le pareti con intonaco dipinto (vano 5), è stato indagato solo parzialmente in quanto si estende oltre i limiti dell'area libera da edificazioni moderne.

I  mosaici

I vani 2, 3, 4 e 5 presentano un pavimento a mosaico con tesserine di 8 x 8 x 10 mm, in bianco e nero. Mentre le tessere nere presentano sempre ordito diritto, le tessere bianche alternano l’ordito diritto a quello obliquo sia nelle campiture interne che nelle cornici perimetrali. I pavimenti a mosaico, attribuibili al II stile, trovano confronti a Pompei nei rivestimenti pavimentali di cubicoli e nello “scendiletto” della casa dei Dioscuri.

Gli  intonaci dipinti

All’interno del cubicolo sono stati rinvenuti numerosi materiali riferibili al crollo delle strutture tra cui molti intonaci dipinti pertinenti alle pareti e al soffitto. Ad esclusione dell’horreum (magazzino - vano 1) che non ha restituito intonaci dipinti, le parti rimaste in posto mostrano che i rimanenti quattro vani avevano tutte le pareti dipinte con uno zoccolo in rosso e una parte superiore in giallo. Oltre ai frammenti monocromi pertinenti al rivestimento delle pareti, sempre all’interno del cubicolo, ne sono stati rinvenuti molti altri, pertinenti al soffitto, con decorazione a delicati motivi vegetali policromi su fondo avorio; più complesse e assai accurate dovevano essere infatti le decorazioni delle volte con riquadri e cassettoni con motivi floreali; alcuni piccoli frammenti presentano decorazioni con foglie, petali di fiori, girali in arancio, verde, marrone e con punti in celeste, linee rette in marrone, bande policrome in azzurro e giallo, linee circolari e campiture dipinte in colori chiari. Per quanto riguarda il tipo di soffitto, la curvatura presente su alcuni frammenti propende per la presenza di almeno un soffitto a volta con intonaci dipinti, mentre altri soffitti dovevano essere piani. Al di sotto del colore dei motivi decorativi sono talvolta ben visibili da vicino linee preparatorie eseguite con squadra e compasso e col sistema della corda battuta. Inoltre sul retro di molti frammenti di intonaco dipinto essi si conservano tracce evidenti dell’incannucciato per mezzo del quale aderivano al soffitto.

I reperti archeologici

Durante lo scavo archeologico sono stati rinvenuti anche resti di anfore, di suppellettili ceramiche e in vetro la cui datazione va oltre quella della villa romana, a testimonianza di una frequentazione dell’area fino all’età tardoantica. Sono esposte alcune anfore romane per il trasporto di vino e olio, e una scodella in terra sigillata: tutti i reperti sono databili in un periodo compreso fra il IV al VII secolo d.C.

Giovedì, 06 Luglio 2023 06:45

Casotto dei Pescatori (Isola di Montecristo)

 

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La costruzione, utilizzata in passato come ricovero per i pescatori, è stata ristrutturata e allestita con pannelli espositivi nel 2018 nell'ambito del Progetto RESTO CON LIFE “Island conservation in Tuscany, restoring habitat not only for birds”. Si tratta di un progetto Life Natura cofinanziato dalla Commissione Europea con il Parco Nazionale Arcipelago Toscano, beneficiario coordinatore, insieme ai beneficiari associati quali l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità dell’Arma dei Carabinieri. Cemento, sabbia, intonaco, travi in castagno, infissi e tutto ciò che occorreva per ridare vita alla struttura sono stati trasferiti con mezzi di servizio, chiatte ed elicotteri. Il vecchio portico in muratura è stato smantellato e sostituito con una struttura in legno. Sulle pareti esterne diversi pannelli mostrano le bellezze naturalistiche dell’Isola e i progetti che sono stati condotti nel tempo per la loro tutela. Una esposizione interna completa il percorso di conoscenza sulla natura e in futuro ospiterà reperti archeologici. Il visitatore appena arrivato è immediatamente immerso nelle tematiche che lo accompagneranno per tutto il suo soggiorno sull’Isola.

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L’isola di Montecristo offre a chi ha l’opportunità di visitarla anche l’esperienza di scoperta all’interno del rinnovato Museo. La piccola sala didattica, il cui allestimento è stato completato nel corso del 2021, propone contenuti relativi alla flora, alla fauna, alla storia e all’archeologia dell’isola, attraverso pannelli esplicativi, reperti e strumenti multimediali che offrono piacevoli occasioni di approfondimento

Martedì, 05 Marzo 2024 07:22

Il percorso

La GTE si può percorrere in 4 o più giorni ma alcuni la completano in 2 o 3 giorni. Si va da un’estremità all’altra dell’isola, da oriente ad occidente, dalle terre del ferro a quelle del granito. Unico nel suo genere, il cammino si snoda sui crinali tra panorami mozzafiato, inebrianti profumi e spettacolari fioriture della macchia mediterranea. Si compie un viaggio indietro nel tempo sulle tracce dei popoli che si contesero per millenni un territorio strategico per i traffici marittimi scoprendo uno scrigno di biodiversità e geodiversità che regala ad ogni passo un’emozione diversa. Il tracciato può essere personalizzato con diverse varianti. Di seguito la descrizione del percorso suddiviso in 4 tappe con partenza da Cavo, sosta per il pernottamento a Porto Azzurro e Procchio e arrivo a Pomonte o Patresi.

 

TAPPA 1. Cavo – Porto Azzurro

Lunghezza: 18,8 km

Dislivello in salita : 931 m

Dislivello in discesa: 930 m

Tempo medio di percorrenza stimato: 8 ore

Distanza in salita: 9,2 km

Distanza in discesa: 8,9 km

Altitudine massima: 515 m s.l.m. (Cima del Monte)

Si parte da Cavo. Dopo un primo tratto all’ombra di una lecceta, si sale sul crinale percorrendo da nord a sud la dorsale montuosa dell’Elba orientale. Il panorama riempie l’anima. Lo sguardo spazia a 360° : dalla costa toscana alle altre isole dell’Arcipelago fino alla Corsica. L’ambiente ha un fascino particolare e, pur essendo roccioso, rappresenta l’habitat ideale per alcune rarità botaniche. La vista si appaga di magnifici colori dal verde dei cisti marini con le loro candide fioriture al blu del mare, fino alle rocce rossastre. Siamo nel versante minerario, conosciuto in tutto il mondo per i suoi giacimenti di rocce ferrose, sfruttate da millenni, e per gli strabilianti minerali, esposti nelle più prestigiose collezioni museali. Raggiunta la massima quota a Cima del Monte che domina la Fortezza del Volterraio, uno dei simboli dell’isola, inizia la discesa fino a Porto Azzurro.

Descrizione del percorso: Il sentiero si imbocca al Cavo dalla Circonvallazione Faleria. Dopo circa 700 m si giunge al trivio da cui parte la breve via che conduce al Mausoleo Tonietti e il sentiero n. 260. Successivamente il tracciato sale lentamente di quota fino ai 344 m del panoramico Monte Grosso, sul quale fu costruito nella Seconda Guerra Mondiale una stazione semaforica, adibita adesso a civile abitazione. Da qui si percorre la discesa fino a lambire la strada provinciale n. 33 della Parata. La via fiancheggia, con un piacevole saliscendi ombreggiato, il Fosso del Vignolo e incrocia più avanti la strada per Nisporto alla sella dell’ Aia di Cacio, dove hanno origine i sentieri n. 201 e 202. Con una breve deviazione dall’itinerario si può imboccare la strada asfaltata verso Rio Elba per visitare l’Orto dei Semplici Elbano al quale si accede mediante il sentiero n. 203. Attraversata la strada, la GTE prosegue ripida, il piano di calpestio diviene pietroso, passa da Monte Strega (426 m) e Monte Capannello (405 m) , fino ad arrivare a Le Panche (326 m ) dove il panorama spazia sull’Elba Occidentale con il Castello del Volterraio e il Golfo di Portoferraio in primo piano. In località Le Panche il tracciato incrocia la strada provinciale n. 32 del Volterraio inerpicandosi sul crinale, fino a Cima del Monte (515 m). In questo tratto l’itinerario è panoramico, lo sguardo spazia fino alle 2 linee di costa da entrambi i lati dello spartiacque. Dopo poco la via incrocia il sentiero n. 205, di livello EE (escursionisti esperti), che conduce al suggestivo Santuario della Madonna di Monserrato. Da qui, dopo circa 1200 m, il sentiero n. 210, scivolando tra i vigneti, raggiungere Porto Azzurro in 30 minuti.

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 TAPPA 2. Porto Azzurro-Procchio

Lunghezza: 19,3 km

Dislivello in salita : 607 m

Dislivello in discesa: 603  m

Tempo medio di percorrenza stimato: 6 ore

Distanza in salita:  10 km

Distanza in discesa: 9,3 km

Altitudine massima: 287 m s.l.m. (nei pressi di Monte Orello)

Questa tappa, pur essendo la più lunga, è anche la più agevole. Si attraversa infatti la parte centrale dell’isola seguendo, per lunghi tratti, comode strade sterrate pianeggianti. I pendii della zona sono dolci e degradano a valle nelle poche aree prive di rilievi e adatte alle colture agricole. Si passa dal regno del ferro a quello del granito con alcuni scorci panoramici: a nord i golfi di Procchio e di Portoferraio con la città fortificata adagiata lungo il mare; a sud quelli di Lacona e del Golfo Stella. La via ripercorre in gran parte una strada militare, testimonianza storica della Seconda Guerra Mondiale. Ai lati si può osservare una bella lecceta, il bosco tipico del bacino del Mar Mediterraneo, che un tempo ammantava tutta l’isola. Poi i tagli sistematici, effettuati fin dal tempo degli Antichi Romani per alimentare le fornaci per la riduzione del ferro, hanno modificato il paesaggio.

Descrizione del percorso: la seconda tappa presenta un piano di calpestio ampio con dislivelli meno impegnativi rispetto alle altre tappe. Il tracciato attraversa l’entroterra della zona centrale, rispetto alla tappa precedente la direzione di marcia cambia, si procede verso ovest. Dopo aver percorso poco più di 3 km dal bivio con il sentiero n. 210, si attraversa la strada provinciale n. 26 per poi salire nei pressi di Monte Orello (376 m), punto panoramico raggiungibile con una breve deviazione. In seguito la via lambisce la cava di Colle Reciso, si innesta per 200 m su una strada asfaltata ove si trova il bivio con il sentiero n. 266 che prosegue verso Portoferraio, imbocca un’ampia ex strada militare immersa in una rigogliosa Macchia Mediterranea. Il tracciato, mantenendosi alla medesima quota, incrocia poi il sentiero n. 221 per la Villa Napoleonica di San Martino e, a distanza di 1500 m, le due estremità del breve sentiero n. 214. Il secondo incrocio con il sentiero n. 214 coincide con un quadrivio. Da qui il sentiero imbocca una discesa e si sovrappone per circa 500 m al sentiero n. 248, fino al bivio con il sentiero n. 244 che correndo parallelo giunge, come la GTE, al Colle di Procchio, ubicato nelle immediate vicinanze del paese omonimo.

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  TAPPA 3. Procchio-Poggio

Lunghezza: 12 km

Dislivello in salita : 921 m

Dislivello in discesa: 589 m

Tempo medio di percorrenza stimato: 5 ore

Distanza in salita: 7 km

Distanza in discesa: 5 km

Altitudine massima: 824 m s.l.m. (bivio GTE Nord-GTE Sud)

Subito dopo la partenza da Procchio si inizia a salire sul massiccio granodioritico del Monte Capanne. Una sorta di isola nell’isola, una montagna in mezzo al mare, il cuore verde e selvaggio del Parco Nazionale. Arrivati al Monte Perone, dopo avere affrontato la salita più impegnativa di tutta la GTE, il tracciato coincide con il Santuario delle farfalle “Ornella Casnati”, dove, grazie a particolari condizioni ambientali, è presente una straordinaria varietà di lepidotteri. Giunti sul crinale il panorama è magnifico.  La maggior altitudine  raggiunta, unita alla diversa origine geologica, influenzano la vegetazione con la comparsa di alberi adatti al clima montano come il Tasso e più avanti il Castagno. Lungo il percorso si può anche ammirare come l’azione incessante degli agenti atmosferici abbia scolpito la dura roccia creando forme bizzarre e spettacolari accumuli di lastre granitiche.

Descrizione del percorso: il tracciato si inerpica dalla Strada Provinciale n. 25 fino a Monte Castello (226 m), dove si possono ammirare il panorama sul Golfo di Campo, le rovine di un’importante fortezza etrusca nascoste tra la vegetazione e una postazione militare della Seconda Guerra Mondiale. La via, prima di innestarsi su una carrareccia, attraversa una zona in cui la vegetazione si sviluppa sopra il sentiero formando un “tunnel”. A breve distanza si trova l’incrocio con il sentierio n. 180 per Poggio e, dopo circa 500 m, con il sentiero n. 121 per Sant’Ilario. Da qui la GTE abbandona la strada sterrata e si inerpica fino al Monte Perone (630 m) dove si trova il sentiero per non vedenti n. 122, dopo aver incrociato i sentieri n. 117 e 169. Si tratta di circa 1700 m di salita con un dislivello di circa 400 m. Attraversata la strada provinciale n. 37 del Perone il tracciato si innesta nel Santuario delle farfalle, con il quale coincide per circa 2 km.In questo tratto si trova il bivio con il sentiero n. 107 per San Piero e con il sentiero n. 100, di livello EEA (escursionisti esperti attrezzati), oltre al punto panoramico di Monte Maolo (749 m) , dove lo sguardo può spaziare a settentrione sulla costa nord occidentale dell’Elba e l’isola di Capraia, a meridione sul Golfo di Campo e le isole di Montecristo e Giglio a est sull’Elba orientale.A circa 1500 m da Monte Maolo la GTE giunge sotto i contrafforti del Monte Capanne dove si biforca in due rami: uno conduce a Patresi, l’altro a Pomonte. Per raggiungere la meta della terza tappa si segue il ramo di Patresi per circa 1300 m fino ad imboccare il sentiero n. 105 che, con una ripida discesa, conduce a Poggio. Complessivamente, escludendo i sentieri di raccordo con Porto Azzurro, Procchio e Poggio, la GTE fino alla biforcazione misura circa 42 km e sono necessarie circa 16 ore per percorrerla.

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TAPPA 4 Nord. Poggio-Patresi

Lunghezza: 15,2 km

Dislivello in salita : 799 m

Dislivello in discesa: 1010 m

Tempo medio di percorrenza stimato: 8 ore

Distanza in salita: 7,5 km

Distanza in discesa: 7,7 km

Altitudine massima: 921 m s.l.m. (bivio sentiero 100)

Il percorso si snoda, disegnando un ampio giro, sulle pendici del Monte Capanne la cui vetta può essere raggiunta con un’impegnativa deviazione oppure usufruendo della cabinovia. Lungo il cammino si potrà ammirare l’incredibile varietà della macchia mediterranea, l’associazione vegetale più diffusa sull’isola. Si passa dalla gariga caratterizzata da bassi cuscinetti spinosi di Genista desoleana, che in primavera regalano spettacolari fioriture gialle, alla macchia bassa di profumati rosmarini e cisti dai delicati fiori rosa e bianchi, fino alla macchia alta con le eriche dai fiori minuscoli e i corbezzoli dalle saporite bacche rosse. Prima di iniziare la discesa verso Patresi si attraversa poi un bel castagneto.

Descrizione del percorso:  è necessario ritornare sui propri passi fino al bivio tra la GTE NORD e il sentiero n. 105. Da qui Patresi dista 16 km, percorribili in circa 8 ore. Il tracciato si dirige verso ovest, mantenendosi intorno quota 600 – 700 m, fino all'incrocio con il sentiero n. 110, dove svolta a sinistra in ripida salita scalando i costoni occidentali del Monte Capanne. Al termine della salita, che nella parte terminale presenta diversi tornanti chiamati “zete”, si giunge a quota 921 m, al bivio con il sentiero n. 100, l’unico tracciato dell’Isola classificato EEA (escursionisti esperti attrezzati). La via scende fino alla località La Terra (582 m), ove secondo alcuni era ubicato il villaggio medievale di Pedemonte. Da qui, percorsi circa 1.500 m, nella parte alta della valle di Chiessi, dopo aver sorpassato la deviazione per i ruderi della chiesa romanica di San Frediano, si giunge al bivio con il sentiero n. 125.Il sentiero successivamente punta nuovamente verso il versante settentrionale del massiccio del Monte Capanne, disegnando un tracciato quasi circolare, fino a Serra Ventosa dove imbocca la discesa per Patresi.

GTE nord chiessi Pianosa Montecristo 1920

 

 

TAPPA 4 Sud. Poggio-Pomonte

Lunghezza: 9,8 km

Dislivello in salita : 562 m

Dislivello in discesa: 878 m

Tempo medio di percorrenza stimato: 4 ore e 40 minuti

Distanza in salita: 3,6 km

Distanza in discesa: 6,2 km

Altitudine massima: 839 m s.l.m. (incrocio sentiero 100 presso le Filicaie)

Questa tappa, la più breve e con il minore dislivello in salita, percorre il crinale che divide la valle di Pomonte da quella di Seccheto, chiamata Vallebuia. All’orizzonte si stagliano le isole di Montecristo, di Pianosa e della Corsica. Inebriati dai profumi della macchia mediterranea, se siete fortunati, potete ammirare maestosi rapaci che volteggiano nel cielo sopra di voi. Queste alture, come testimoniato dal ritrovamento di diversi reperti archeologici, erano frequentate millenni fa da popoli primitivi dediti alla pastorizia e all’allevamento. Gli eredi di quelle genti, allevatori di capre, hanno costruito a metà del secolo scorso i caratteristici caprili che si incontrano lungo il percorso.

Descrizione del percorso:  è necessario ritornare sui propri passi percorrendo il sentiero n. 105 e, per un breve tratto, la GTE NORD per poi proseguire sulla GTE SUD per circa 7 km percorribili in circa 3 ore di cammino. Il tracciato si dirige verso sud-ovest seguendo lo spettacolare crinale che divide l’ampia valle di Pomonte da Vallebuia dove non è raro incontrare esemplari di muflone. La posizione panoramica fu sfruttata dai popoli antichi. Nella zona sono stati infatti trovati reperti riferibili ad insediamenti dell’Età del Bronzo. Sono inoltre presenti nei pressi del Colle della Grottaccia (645 m) e di Monte Orlano (549 m) alcuni caprili, testimonianza di una più recente frequentazione umana dedita alla pastorizia. Tra i rilievi che caratterizzano il percorso a saliscendi vi sono anche Le Mure (629 m) e Monte Cenno (589 m). Nei pressi del Colle della Grotta hanno origine il sentiero n. 109 che si inoltra nella valle, il sentiero n. 130 verso San Piero ed il sentiero n. 108 che scende nella Vallebuia fino alla costa a Seccheto. Presso il Monte Cenno si incrocia il breve sentiero n. 135 A che collega la GTE SUD al sentiero n. 135. Il nostro tracciato, superato il caprile ubicato a poca distanza da Monte Orlano, imbocca uno stretto viottolo tra magnifici terrazzamenti che conduce rapidamente ad un secondo incrocio con il sentiero n. 109. Da qui in pochi minuti di cammino tra bei vigneti si giunge a Pomonte.

GTE crocevia filicaie2 1920x1280

Martedì, 05 Marzo 2024 11:46

Le mappe e i file kmz

Le mappe digitali dettagliate ad alta risoluzione delle 5 tappe della Grande Traversata Elbana riportate di seguito possono essere scaricate gratuitamente su uno smartphone ricercando "Elba GTE 2024" nel "negozio" dell'applicazione Avenza Maps. E' inoltre possibile arricchire le suddette mappe scaricando i 39 Punti di interesse (kmz) con relative schede descrittive. Per importare i livelli kmz sulle mappe seguire le  istruzioni. 

 

TAPPA 1 (CAVO-PORTO AZZURRO)

GTE Scheda tappa 1 low

 

 TAPPA 2 (PORTO AZZURRO-PROCCHIO)

GTE Scheda tappa 2 low

 

 TAPPA 3 (PROCCHIO-POGGIO)

GTE Scheda tappa 3 low

 

TAPPA 4 NORD (POGGIO - PATRESI)

GTE Scheda tappa 4nord low

 

 

TAPPA 4 SUD (POGGIO-POMONTE)

GTE Scheda tappa 4sud low

 

 

 

Martedì, 05 Marzo 2024 18:00

I punti di interesse

Punti di interesse tappa 1 (Cavo-Porto Azzurro)   Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf

 

Il Mausoleo Tonietti

Al quadrivio, dove si trova un’area picnic, si imbocca sulla destra un sentiero di pochi metri che conduce al Mausoleo Tonietti. Si tratta di un edificio ormai diroccato in pietra dalla forma particolare che risale ai primi del 1900 e fu progettato in stile neogotico dall’architetto Adolfo Coppedè per i Tonietti, importante famiglia dedita all’estrazione mineraria della zona. La costruzione avrebbe dovuto essere utilizzata come monumentale tomba di famiglia. Tuttavia la mancata autorizzazione cimiteriale ne impedì l’impiego secondo la volontà dei committenti e causò il suo abbandono. Il Mausoleo presenta una pianta quadrata ed è costituito da un imponente torrione che richiama la forma di un faro. L’affascinante edificio è in attesa di un restauro che lo valorizzi, pertanto è pericoloso accedere all’interno.

 

Il Semaforo di Monte Grosso

La strada sterrata in salita che conduce al Monte Grosso serve due edifici residenziali ricavati dalla ristrutturazione di un semaforo militare già presente nell’800 utilizzato poi dalla Regia Marina come punto di avvistamento contraereo nella seconda guerra mondiale. Si trattava di un punto strategico per l’osservazione dei traffici marittimi tra la costa toscana e l’Isola d’Elba. Oltre alla postazione semaforica esisteva un deposito carburante e un edificio utilizzato come alloggio per i marinai. Nella prima metà del 900, prima della definitiva dismissione, ospitava una stazione metereologica.

 

Il collegamento con la spiaggia dei Mangani

In località Case Colli la GTE incrocia la strada della Parata che unisce Rio nell’Elba al Cavo ed il sentiero n. 265. Utilizzando questo tracciato è possibile fare una deviazione per raggiungere in circa 20 minuti la selvaggia spiaggia dei Mangani. Da lì si può decidere di ritornare sui propri passi oppure ricollegarsi in circa 1 ora di cammino alla GTE più a sud, proseguendo lungo costa fino alla spiaggia di Nisportino e mediante il sentiero n. 201 arrivare in località Aia di Cacio. Il sentiero n. 265 è classificato per escursionisti esperti. Presenta infatti in alcuni punti il piano di calpestio sconnesso e brevi tratti risultano esposti. Per maggiori informazioni consultare Percorso di Nisportino - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

Il collegamento con Monte Serra e Eremo Santa Caterina

Nella piazzola in Loc. Aia di Cacio la GTE incrocia 2 sentieri : il sentiero 201 che conduce a Nisportino (per maggiori informazioni consultare Percorso di Nisportino - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it) ed il panoramico sentiero ad anello del Monte Serra n. 202 (per maggiori informazioni consultare  Percorso di Monte Serra - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it). Inoltre, prima di attraversare la strada asfaltata e proseguire il cammino sulla GTE, si può percorrere la viabilità verso Rio nell’Elba e dopo poco imboccare il breve tracciato 203 che permette di accedere all’Eremo di Santa Caterina con annesso Orto Botanico dei Semplici.

 

I Diaspri

Nel tratto di GTE di circa 2 km compreso tra i due attraversamenti della viabilità asfaltata (Località Aia di Cacio e Le Panche) il piano di calpestio è instabile per la presenza di ghiaia che crea qualche difficoltà nella salita al Monte Strega. Si tratta di diaspro o radiolarite, una roccia sedimentaria rossastra sottilmente stratificata e fittamente fratturata formatasi 180 milioni di anni fa a seguito del deposito sul fondale dei gusci silicei di microscopici organismi marini. Alle Panche si passa poi alla roccia basaltica fino a Cima del Monte dove si incontrano di nuovo i diaspri. Lungo il cammino anche chi non è esperto in materia può apprezzare la straordinaria diversità geologica dell’Isola d’Elba, unica al mondo. Il paesaggio è frutto dell’azione degli agenti atmosferici sui diversi tipi di roccia e dalle relative caratteristiche pedologiche da cui dipende anche la copertura vegetale.

 

Il punto panoramico di Cima del Monte

Cima del Monte con i suoi 515 m rappresenta la quota maggiore dell’Elba centro-orientale. La fatica per raggiungerla è ripagata dal panorama mozzafiato che spazia a 360° : a nord si vedono l’Isola di Capraia e, con l’aria molto nitida, quella di Gorgona, la costa toscana a est, e a sud l’Argentario e le isole del Giglio, Montecristo e Pianosa. Infine, ad ovest, dietro il massiccio del Monte Capanne, spunta la Corsica.

 

Il Fiordaliso dell’Elba

In un’area di pochi km quadrati dalla zona Monte Monserrato – Monte Castello fino alla Fortezza del Volterraio si trova una rarità botanica. Una piccola pianta alta fino a 50 cm, riconoscibile dai fiori viola racchiusi in una struttura rotondeggiante detta capolino, presente al mondo solamente in quest’area ristretta. Si tratta del Fiordaliso dell’Elba (Centaurea aethaliae) che grazie all’isolamento geografico ha sviluppato caratteristiche particolari tali da essere considerato endemico. Vegeta in luoghi soleggiati e aridi nelle garighe e sulle pareti rocciose, generalmente su rocce silicee, ha un fusto che si ramifica in alto, capolini terminali e globosi con involucro munito di numerose brattee o squame, foglie indivise alla base a parte quelle del fusto divise e pennatosette. Questa specie è inserita in un gruppo di fiordalisi geograficamente isolati al quale appartiene anche il Fiordaliso del Capanne (Centaurea ilvensis).

 

Il collegamento con il Santuario della Madonna del Monserrato

Al termine della discesa che da Cima del Monte conduce verso sud, la GTE confluisce in un’ampia strada sterrata, da dove si stacca il sentiero n. 205 che aggira a nord Monte Castello. Questa deviazione può essere utilizzata come alternativa per arrivare in circa 2 ore alla fine della tappa a Porto Azzurro. Si tratta di un percorso riservato ad escursionisti esperti, più impegnativo della GTE, a causa di alcuni passaggi esposti in cui è necessario prestare attenzione. Il maggiore impegno è ripagato dalla possibilità di visitare un ambiente aspro ma affascinante in cui è incastonato il magnifico Santuario della Madonna del Monserrato. Edificato nel 1606 dal primo governatore del nascente presidio spagnolo di Longone (antico nome di Porto Azzurro rimasto fino al 1947) per essersi salvato da una tempesta che lo aveva colto in navigazione. Il luogo fu scelto dal governatore per la somiglianza delle conformazioni rocciose con quelle presenti in Catalogna nei pressi del monastero di Monserrat. Per maggiori informazioni consultare Percorso del Santuario del Monserrato - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

 

Punti di interesse tappa 2 (Porto Azzurro-Procchio)   Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf

 

La strada militare di Colle Reciso

Arrivati a Colle Reciso, dopo aver abbandonato la strada asfaltata, la GTE coincide per circa 5 km con una strada militare costruita durante la Seconda guerra mondiale, per facilitare gli spostamenti di truppe, armi e munizioni. Durante il cammino si potranno apprezzare alcune opere di pregevole fattura come possenti muri di contenimento, interventi per la regimazione delle acque, cippi troncoconici in granito ai lati della strada, alcune pietre miliari, oltre a piccole lastre con la dicitura “DM” (demanio militare). Inoltre, a lato della strada, nella parte iniziale, si possono osservare le riservette, due curiosi piccoli edifici stretti e lunghi a servizio dei militari.

 

Il Mulino a Vento

A circa 2 km dall’inizio della strada sterrata, poco prima dell’incrocio con il sentiero n. 221 che conduce alla Villa napoleonica di San Martino si stacca sulla sinistra un breve sentiero che arriva nei pressi del Poggio del Molino a Vento, dove si apre il panorama sul Golfo di Lacona. Poco distante è presente un edificio abbandonato. Secondo alcuni si trattava di un antico mulino a vento poi riconvertito a civile abitazione. Sull’isola erano presenti, nel passato, numerosi mulini che sfruttavano perlopiù l’acqua come forza motrice come quelli della valle dei mulini di Rio nell’Elba dove se ne trovavano ben 22.

 

La lecceta

Lungo la strada sterrata, osservando la vegetazione soprattutto verso valle, si potranno notare diversi lecci di grande dimensione. Il Leccio (Quercus ilex) è la specie ad alto fusto caratteristica dei boschi sempreverdi della macchia mediterranea : anticamente, prima del loro sfruttamento, estese leccete ricoprivano il territorio dell’Elba. Quelle attualmente presenti, localizzate in alcune limitate aree, sono invece caratterizzate da piante sviluppatesi a seguito del taglio del tronco principale a formare i cosiddetti boschi cedui. Il taglio della legna era una pratica diffusa fin dal tempo degli Antichi Romani, funzionale alla produzione del carbone per alimentare le fornaci di riduzione del ferro. Più recentemente le leccete sono state danneggiate da incendi spesso di natura dolosa.

 

I termini di Portoferraio

Poco dopo l’incrocio con il sentiero n. 221, che conduce alla Villa napoleonica di San Martino, sulla sinistra si incontrano i bivi con il sentiero n. 215 che conduce a Lacona ed il breve 214 che corre parallelo alla GTE salendo sul Monte Barbatoia e poi sul Monte San Martino dove si può osservare una testimonianza storica. Si tratta di un “termine”, un cippo (ristrutturato nel primo Novecento), che indicava i confini del territorio granducale di Portoferraio. I termini erano 9. Cause di accese dispute tra gli elbani, furono posizionati in seguito alla restituzione dell’isola, nel 1557, dall’imperatore Carlo V ai principi di Piombino, lasciando al Granducato di Toscana solamente Portoferraio con due miglia di territorio circostante. Questo manufatto è la testimonianza di un’epoca in cui l’Elba era contesa tra le principali potenze europee per la sua posizione strategica per i traffici marittimi e per il controllo del Tirreno Settentrionale.

 

Le specie aliene invasive

Nei pressi del quadrivio  la GTE abbandona la strada sterrata e continua in discesa lungo un  sentiero di non facile percorribilità: qui si possono osservare, a lato della strada, alcune specie vegetali alloctone invasive. Si tratta in particolare di acacie riconoscibili per la presenza di spine acuminate. Questa specie, come molte altre importate sull’isola dall’uomo, si sono adattate a tal punto all’ambiente da minacciare le specie orginarie e causare gravi danni alla biodiversità. Identificare le specie autoctone, cioè originarie del luogo, consente di apprezzarne oltre alla bellezza il valore ecologico.

 

Le ‘case dei Lombardi’

Al termine della discesa, piuttosto impegnativa, che conduce in Loc. Literno il tracciato, prima di passare su un ponticello, costeggia alcuni ruderi di case coloniche che risalgono almeno al 1840, risultando presenti nelle carte del Catasto leopoldino di quell’epoca. Osservando gli edifici dal sentiero, senza avvicinarsi per non correre rischi, è possibile notare alcuni particolari interni come pareti dipinte di rosso e celeste, mensole in muratura, grossi camini in pietra, palmenti (vasche in pietra utilizzate per la produzione del vino). Questi edifici, apparentemente poco significativi, sono la testimonianza di un’epoca piuttosto recente in cui l’economia dell’isola, fatta eccezione per le attività estrattive, era principalmente legata all’agricoltura e in particolare alla viticoltura. Curioso è il nome con cui all’Elba sono conosciute queste abitazioni abbandonate : case dei lombardi. Il riferimento è ai lavoratori stagionali dell’Appennino emiliano che tra l’Ottocento e il Novecento abitavano questi immobili e venivano chiamati erroneamente lombardi dai contadini elbani.

 

Punti di interesse tappa 3 (Procchio-Poggio)  Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf

 

La Fortezza d’altura di Monte Castello

Arrivati a Monte Castello la GTE costeggia alcuni massi apparentemente insignificanti. In realtà, tra la vegetazione, si nasconde un vero e proprio tesoro archeologico. Si tratta dei resti di un villaggio fortificato etrusco, il cosiddetto Oppidum, edificato in una posizione strategica per il controllo dei traffici marittimi sulla costa nord e sud dell’isola rispettivamente in corrispondenza dei golfi di Procchio e Marina di Campo. Sulla base dei materiali ritrovati, conservati al Museo Civico Archeologico di Marciana, la fortezza è databile al periodo classico etrusco (V sec. a.C). Tra questi una testa fittile che potrebbe indicare una prima fase di vita del villaggio legata ad aspetti religiosi. Le mura, costruite in blocchi di medie e grandi dimensioni, erano impostate su un piano di posa in lastroni accuratamente preparati e connessi. Era presente un piano elevato con pavimento in coccio pesto. Al piano inferiore sono stati scoperti dei grandi contenitori in terracotta detti dolia, contenenti grano, che fanno supporre si trattasse di un magazzino per lo stoccaggio delle derrate alimentari. Il ritrovamento di strati di crollo e tracce di combustione fanno supporre che la fine del villaggio sia stata causata da un evento drammatico probabilmente legato alla conquista romana del sito forse databile nel 259 a.C.  Nell’area sono inoltre presenti manufatti ad uso militare risalenti alla Seconda guerra mondiale.

 

La macchia mediterranea

La macchia mediterranea è l'associazione vegetale sempreverde, colorata e profumata di fioriture presente sulla maggior parte del territorio isolano. Percorrendo i sentieri si noterà che si sviluppa in diverse tipologie. Si va dalla bassa gariga nelle aree colpite nel recente passato dagli incendi o con suolo roccioso superficiale come sono le garighe a dominanza di cisto e rosmarino, alle macchie alte come quelle a dominanza di erica e corbezzolo, fino allo stadio evolutivo più avanzato rappresentato dalla lecceta. Da questo punto di vista il tratto della GTE tra il Colle di Procchio e Colle Reciso è particolarmente interessante in quanto rappresenta una sorta di spartiacque tra un tipo di macchia bassa, tipica delle aree più aride, definita dai botanici “macchia a dominanza di calicotome e cisto di Montpellier” presente a meridione del tracciato e i boschi a dominanza di leccio alternati con le macchie alte a dominanza di erica arborea e corbezzoli più diffusa a nord del sentiero. Quest’ultima formazione al termine della discesa che da Monte Castello va verso Colle Reciso forma in alcuni punti una sorta di suggestivi tunnel di vegetazione.  

 

Il regno del granito.

Da qui in avanti la GTE si snoda sul massiccio granodioritico del Monte Capanne, un ammasso di rocce magmatiche solidificatesi all’interno della crosta terrestre indicato dai geologi col termine di ‘plutone’. Questo ed altri complessi fenomeni hanno consentito la formazione di una grande quantità di minerali, una varietà unica al mondo in un territorio così limitato. Osservando attentamente questo granito si possono riconoscere i minerali che lo costituiscono: su una massa di fondo formata da cristalli minuti di biotite (neri), quarzo (lucenti) e plagioclasi (bianchi) si distinguono cristalli bianchi più grandi di feldspato potassico. Nel primo tratto della terza tappa il piano di calpestio è sabbioso, è il risultato dell’azione degli agenti meteorici sulla roccia granitica. Si possono inoltre osservare sciolte nel terreno pietre biancastre di pochi centimetri, si tratta di cristalli di feldspato potassico. Il granito dell’Isola d’Elba è stato estratto e lavorato dall’antichità fino ai giorni nostri. Testimonianze di queste lavorazioni si trovano nel versante sudorientale del massiccio. Si tratta delle cosiddette vie del granito. Per maggiori informazioni consultare Percorso delle vie del granito - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

Le pinete

Nell’area del Monte Perone come in quella del  Monte Orello la GTE attraversa alcune pinete. La maggior parte furono realizzate tra il 1949 e il 1970 utilizzando pini mediterranei quali il Pino domestico (Pinus pinea), Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) ma soprattutto il Pino Marittimo (Pinus pinaster). I cantieri forestali avevano la funzione di migliorare, secondo i criteri dell’epoca, la vegetazione. In realtà  la loro utilità fu soprattutto sociale, consentirono infatti di impiegare migliaia di operai e fornire un importante supporto economico alla popolazione per affrontare la crisi economica del dopoguerra. I botanici non assegnano un importante valore naturalistico a questi boschi. In alcune aree il Parco Nazionale effettua diradamenti per favorire lo sviluppo della vegetazione originaria. Sul Monte Perone grazie ad una nuova piantumazione la pineta verrà nel tempo sostituita dalla lecceta.

 

Il Sentiero per disabili visivi

Sul Monte Perone, poco prima di attraversare la strada asfaltata, nei pressi di una casetta in legno,  si imbocca a sinistra il sentiero attrezzato per disabili visivi. Per maggiori informazioni consultare  Sentiero Elba n. 122 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

Il Santuario delle farfalle “Ornella Casnati”

L’ultima parte della 3° tappa della GTE dal Monte Perone fino quasi alla biforcazione tra i rami sud e nord della GTE coincide con il Santuario delle farfalle “Ornella Casnati”, riconoscibile dai pannelli illustrativi presenti sul sentiero. L’area è definita un “hot spot” di biodiversità, qui infatti per un insieme di fattori geografici, ecologici e climatici è stata riscontrata un’eccezionale varietà di farfalle. Per maggiori informazioni consultare Santuario delle farfalle - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

Il sentiero n. 100

Si tratta di una via ferrata che origina dalla GTE nei pressi di Monte Maolo, incrocia la GTE sud alla foce delle Filicaie o Malpasso e termina sulla GTE nord nei pressi del Monte di Cote. La via è classificata come sentiero EEA (escursionisti esperti attrezzati) ed è quindi percorribile solamente con idonea attrezzatura: imbrago, kit apposito con doppio moschettone con dissipatore e caschetto. Per maggiori informazioni consultare 100 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

I Tassi

Quando la GTE sale di quota si può notare il mutamento della vegetazione con la comparsa di specie che prediligono maggiori altitudini. Tra queste particolarmente interessante è il Tasso. Si tratta di un albero molto raro allo stato spontaneo in Toscana. È presente all'Elba con poche centinaia di esemplari racchiusi in un'area piuttosto ristretta, a nord del crinale del massiccio del Monte Capanne, delimitata ad ovest da Monte di Cote, ad est da Masso alla Quata e a nord dalla Valle della Nivera. Viene definita una specie relitta, alberi residui di una foresta presente diversi milioni di anni fa, nell'era terziaria, quando il clima era completamente diverso. Nei pressi del Monte Calanche è presente un esemplare secondo alcuni millenario inserito nell'elenco degli alberi monumentali della Regione Toscana.

 

Punti di interesse tappa 4 Nord (Poggio-Patresi)  Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf

 

 Il Monte Capanne

Chi percorre la GTE può effettuare, imboccando il sentiero n. 101, un’impegnativa deviazione per la cima più alta dell’Arcipelago Toscano, da dove, in caso di buona visibilità, è possibile ammirare le isole circostanti e la costa toscana. In alternativa si può utilizzare la cabinovia che parte da Marciana. Dal punto di vista geologico si tratta della sommità del plutone monzogranitico, un  ammasso di magma solidificatosi all’interno della crosta terrestre a bassa profondità e venuto allo scoperto a seguito di fenomeni geologici e dello smantellamento della copertura da parte degli agenti atmosferici. Gli stessi agenti che, con la loro incessante azione, hanno sfaldato la roccia in lastre che sembrano scolpite appositamente  caratterizzando alcuni passaggi del sentiero n. 101. Per maggiori informazioni consultare 101 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)

 

La quota massima della GTE

La GTE raggiunge la sua quota massima con la GTE nord a 921 m, nel passaggio tra il Monte di Cote e La Tavola (così chiamata probabilmente per la presenza di una roccia quadrangolare), dove il tracciato si affaccia sul versante meridionale del massiccio del Monte Capanne. Il cambio di versante ha conseguenze evidenti sulla vegetazione che da macchia alta passa a macchia bassa e gariga. In queste aree sommitali a primavera si può assistere ad uno degli spettacoli più belli per un camminatore all’Isola d’Elba: le fioriture gialle delle prunelle (Genista desoleana) che tappezzano interi versanti. L’habitat di particolare interesse è definito dai botanici “gariga sommitale a dominanza di Genista desoleana”. La prunella è un arbusto che forma cuscinetti spinosi, endemico di Sardegna, Liguria orientale e Isola d’Elba. In queste garighe è possibile osservare alcune delle 8 specie endemiche dell’Elba, cioè esclusive di questo territorio, come il Fiordaliso del Capanne (Centaurea ilvensis) e la Viola dell'Elba (Viola corsica subsp. ilvensis).

 

Il disastro aereo dell’Itavia

 Lungo la discesa della GTE nord che conduce in località La Terra si noterà una targa che ricorda il disastro aereo avvenuto in questa zona il 14 ottobre del 1960 nel quale persero la vita 11 persone (7 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio). I resti dell'aereo della Compagnia aerea Itavia vennero scoperti casualmente due giorni dopo la tragedia da un abitante di Pomonte in cerca di funghi che si fermò nei pressi di un caprile e da lì intravide, a poca distanza, la sagoma bianca di un'ala dell'aereo precipitato, ed il punto d'impatto contraddistinto da un vasto cratere, massi sconvolti e arbusti bruciati dall'incendio sviluppatosi nello schianto.

 

La Chiesa romanica di San Frediano

Nei pressi della località Il Troppolo, percorrendo una breve deviazione in salita dalla GTE nord, si possono osservare i ruderi della chiesa romanica di San Frediano. A causa della posizione defilata è la chiesa romanica dell’Elba meno conosciuta di cui rimane visibile solamente la pianta rettangolare con abside semicircolare e asse longitudinale  sud-est/nord-ovest anziché il più utilizzato est/ovest. I muri perimetrali del  piccolo edificio di 9,60 x 4,10 m sono costituiti da blocchi di granito lavorati, che si possono vedere in posizione originaria nella parte inferiore, mentre nella parte più alta sono stati risistemati in modo casuale forse dai pastori che hanno utilizzato i ruderi come ovile. L’edificio, da cui si può osservare il braccio di mare tra Elba, Pianosa e Corsica, era probabilmente una sentinella sui traffici marittimi trovandosi in comunicazione visiva con la chiesa di San Bartolomeo (sopra Chiessi e Pomonte), a sua volta in collegamento con la chiesa di San Biagio nei pressi di Pomonte. Probabilmente aveva anche la funzione di rifugio per chi percorreva l’antica Via Pomontinca, unico collegamento tra i paesi a nord del massiccio del Capanne (Poggio e Marciana) e quelli a sud (Chiessi e Pomonte), prima che fosse realizzata l’odierna strada costiera  dell’”anello occidentale”.

 

Il Semaforo di Campo alle Serre

Facendo una deviazione sul sentiero n. 125 e poi sul 176° si raggiungono i ruderi di una postazione semaforica. Il semaforo, la cui costruzione risale al 1888 con decreto del re Umberto I di Savoia, venne attivato dalla Regia Marina per monitorare il traffico marittimo nel Canale di Corsica oltre che per l'illuminazione notturna dell'estremità occidentale dell'isola per i natanti. Nel 1920 venne attivato anche un osservatorio meteorologico che ha registrato i dati fino al 1953, anno in cui venne probabilmente decisa la definitiva dismissione dell'infrastruttura che nel corso della seconda metà del Novecento non risultava più operativa. Del complesso è visibile il fabbricato presso il quale è rimasto conservato anche il traliccio di una delle due antenne che permettevano le comunicazioni radiofoniche e telegrafiche. L'edificio che ospitava l'infrastruttura semaforica è ormai un rudere privo di tetto, porte e finestre.

 

Il castagneto

Questo è l'unico tratto della GTE dove si possono osservare i castagneti che caratterizzano le pendici settentrionali del massiccio del Monte Capanne, oltre ad alcuni versanti orientali a monte di Sant'Ilario per un totale di circa 300 ha. Questi boschi di origine antropica, presenti da tempi remoti, sono importanti oltre che dal punto di vista forestale anche da quello storico e culturale. I suoi frutti hanno infatti sfamato a lungo generazioni di elbani. I castagneti sono stati attaccati alcuni anni fa da insetti fitofagi che sono stati combattuti mediante il lancio di antagonisti naturali. Inoltre è in corso un progetto sperimentale di recupero di alcuni castagni.

 

Il Santuario della Madonna del Monte

In circa 20  minuti da Località Serraventosa sulla GTE nord si raggiunge il Santuario della Madonna del Monte. Nei pressi della chiesa sono presenti 4 maestosi castagni plurisecolari sotto ai quali nel settembre del 1814 la contessa Maria Walewska, incontrò il suo amante, Napoleone Bonaparte, in esilio all’Elba. Intitolato alla Madonna dell’Assunta questo santuario è il più antico dell’isola risalendo al XII secolo. Secondo la tradizione la chiesa fu eretta a seguito del miracoloso ritrovamento di un masso su cui era dipinta l’immagine della Vergine. In questo luogo è possibile bere l’acqua che sgorga da uno dei tre mascheroni delle fontane nella splendida esedra in granito detta Teatro della Fonte, realizzata nel 1698.

 

Punti di interesse tappa 4 Sud (Poggio-Pomonte) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf

 

I Caprili

Il caprile era la struttura utilizzata per l’esercizio della pastorizia: costituito da un recinto di forma circolare in muratura a secco, alto 60-70 cm, utilizzato per il ricovero e mungitura delle greggi e dal domolito o grottino dove si conservavano gli attrezzi per la preparazione di ricotte e formaggi e il pastore si riparava dalle intemperie. Anch’esso in muro a secco, a sezione circolare, provvisto di una piccola porta e di una finestrella, il domolito era coperto da una falsa volta realizzata con livelli di pietre progressivamente aggettanti verso l’interno. Percorrendo la GTE sud si possono osservare due caprili vicini in Località Le Mure oltre a quelli ubicati al Colle della Grottaccia, sul Monte Cenno e Orlano. Sul massiccio del Monte Capanne sono presenti numerosi caprili, la maggior parte risalgono tra gli anni ‘30 e ‘70 del secolo scorso.

 

Il sito archeologico de Le Mure

Il toponimo deriva dalla presenza di diversi resti murari. Alcuni sono riferibili ad epoca medievale, altri probabilmente a quella etrusca. Sono stati ritrovati frammenti di dolia, grandi contenitori in terracotta, scorie della lavorazione del ferro, ceramiche dell’Età del Bronzo, rocchetti e macinelli oltre a frammenti di bucchero che fanno ipotizzare la presenza di una fortezza d’altura. Tra l’età del Bronzo e quella del Ferro le alture del Massiccio del Monte Capanne erano abitate, come testimoniano i reperti rinvenuti, esistevano diversi insediamenti, alcuni dei quali sfruttavano dei ripari sottoroccia. Le genti erano dedite alla pastorizia e si tenevano in contatto visivo tra loro così da cooperare nella difesa da eventuali incursioni nemiche provenienti dal mare. Il ritrovamento in alcuni villaggi di prodotti pregevoli come le perle di ambra risulta particolarmente interessante e merita studi più approfonditi.

 

Le forme erosive del granito

La granodiorite (un particolare tipo di granito) del comprensorio del Monte Capanne, come tutte le rocce, è sottoposta all’azione degli agenti atmosferici che la modellano mediante fenomeni di degradazione sia fisici sia chimici. Pioggia, vento, salsedine, escursione termica oltre all’umidità che si infiltra dal terreno creano processi di alterazione parziale dei minerali, dando luogo ad una lenta e progressiva disgregazione dell’insieme. In questo modo si formano i cosiddetti “tafoni”, particolari cavità di dimensioni abbastanza ridotte, tipiche delle zone marittime e di quelle desertiche. La natura, come per magia, scolpisce la roccia creando veri e propri monumenti naturali, in alcuni casi zoomorfi o antropomorfi. I toponimi di diversi luoghi del versante occidentale dell’isola fanno riferimento a questi massi granitici dalle forme particolari come La Testa sul Monte San Bartolomeo o l’Aquila e l’Omo Masso, oggi non più esistente dopo un fulmine. Ognuno può dare sfogo alla fantasia osservando le rocce modellate ed associarle ad animali o ad oggetti.

 

I vigneti

 I pendii del Monte Capanne come altre zone dell’isola erano fino ad alcuni decenni fa, interamente modellati con terrazze e coltivazioni di vigneti disposte in geometrici filari detti “ordini” e “centi”. La vegetazione spontanea ha riconquistato velocemente gli spazi che l’uomo per secoli le aveva sottratto costruendo un’imponente opera d’arte collettiva formata da decine di chilometri di muretti a secco. In questo modo furono resi coltivabili anche i versanti più ripidi. A metà Ottocento il patrimonio viticolo isolano era stimato a 32 milioni e mezzo di piante. Le viti venivano tenute basse e al palo per impedire che venissero danneggiate dal vento.  Nella parte finale della GTE, percorrendo la via lastricata di granito segnate dal passaggio di contadini e asini che per generazioni l’hanno utilizzata per produrre l’uva fino a quote di 400/500 metri sul livello del mare, si possono ancora osservare i vigneti rimasti.

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