8ª tappa Via dell’Essenza – Via del Mirto

Partenza |
Procchio |
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Arrivo | Marciana Marina |
Tempo medio | 3 ore |
Lunghezza | 9 km |
Difficoltà percorso | impegnativo |
Dislivello in salita | 365 m |
Ubicazione | Elba Occidentale |
Sentieri percorso |
GTE, n. 180, n. 181 |
Panoramico | ●●○○○ |
Pianeggiante | ●●●○○ |
Ombreggiato | ●●●○○ |
L’itinerario lascia l’abitato di Procchio seguendo per un breve tratto la strada provinciale che conduce a Marina di Campo fino alla zona del Colle dove si imbocca in ripida salita la GTE, che si dirige verso i primi contrafforti orientali del massiccio del Capanne rappresentati da alcune colline tra le quali è Monte Castello (227 m slm), il rilievo panoramico su cui possiamo osservare i resti di una fortezza d’altura etrusca. La via prosegue in una fitta macchia mediterranea con esposizione settentrionale per riaffacciarsi brevemente a meridione. Qui si imbocca una carrareccia più ampia che ci porta al bivio di Colle Reciso (174 m slm) dove, svoltando a destra al bivio, ci dirigiamo verso nord imboccando il sentiero 180. Da qui il tracciato passa sui versanti settentrionali dominando il Golfo di Procchio e il Mar Ligure, continuando su strade sterrate abbastanza larghe, a tratti dal fondo sconnesso, a volte più regolari, comunque circondato dalla fitta vegetazione. L’itinerario passa vicino al piccolo Santuario di Santa Rita, che ci testimonia la devozione popolare di contadini e pastori che percorrevano queste antiche vie, prima di passare sopra la zona di Acqua Calda e arrivare nei pressi di Campo Bagnolo. Arriviamo quindi sulla via di Lavacchio, strada asfaltata che passa davanti alla cappella della Madonna del Buonconsiglio per continuare fino ad un gruppo di case dove, abbandonata la strada asfaltata imbocchiamo in discesa il sentiero n 181. Si percorre la Valle di Lavacchio dove il sentiero si restringe progressivamente, circondato da una fitta macchia mediterranea che oggi si insedia sui pendii terrazzati un tempo coltivati a vigneto, riducendosi a un piccolo viottolo che termina nella zona dell’antica cappella di San Giovanni, nei pressi dell’omonimo fosso. Da qui alcuni vecchi vicoli pedonali attraverso il paese ci porteranno fino al lungomare di Marciana Marina.
Punto di interesse 8 A – Fortezza etrusca
Al centro della piccola catena collinare che si erge a divisione tra la valle e piana di Procchio a nord e la piana di Campo a sud, primi contrafforti del massiccio del Capanne, si erge il rilievo il modesto rilievo di Monte Castello (228 m slm). Come suggerisce già il nome, il colle fu sede di un’antica fortificazione etrusca. Si tratta di una delle numerose fortezze d’altura che controllavano il territorio isolano, presenti anche in quello continentale della vicina città di Populonia, edificate come risposta ai pericoli provenienti dal mare e a possibili minacce nemiche. In genere questi fortini erano caratterizzati da cinte murarie, spesso dall’andamento quadrilatero, realizzate sulle sommità di rilievi in genere non molto elevati, ma situati in posizioni strategiche, dominanti una viabilità fondamentale, siti di approvvigionamento di risorse, approdi, luoghi di lavorazione delle ricchezze metallifere. Le fortificazioni controllavano otticamente spesso ampi tratti costieri e bacini marittimi, costituendo tra loro vere e proprie reti di comunicazione visiva che si rivolgevano infine verso il promontorio di Populonia. Altre fortezze elbane sarebbero quelle di Castiglione di San Martino, Castiglione di Marina di Campo, Monte Fabbrello, Monserrato, Pietra Murata, Le Mura, Volterraio, Monte Serra, Capoliveri, Monte Percoli, Cucculino e Monte Moncione. A Monte Castello una serie di campagne di scavo ha restituito materiali databili tra la fine del V secolo e la metà del III secolo a.C.; qui la cinta muraria esterna, realizzata con massi di granito, era larga due metri mentre una muraglia più interna misurava 1,20 m in larghezza. La cortina difensiva si innalzava fino a quattro metri di altezza sul lato di sudovest. Le abitazioni erano realizzate con mura di mattoni in argilla essiccata che sostenevano una struttura lignea a supporto di una copertura con grossi coppi e tegoloni. L’edifico contava due piani con un seminterrato adibito a magazzino e un primo piano. Tra i reperti rinvenuti, oggi ospitati dai musei archeologici di Marciana e di Portoferraio, sono alcuni piattelli di genucilia e ceramiche sovradipinte di produzione etrusca, coppe dell’Atelier des Petites Estampilles, anfore puniche e greco-italiche e un frammento testa femminile in terracotta. Di particolare interesse il pavimento dell’abitazione realizzato in cocciopesto (opus signinum) che conteneva anche numerosi frammenti di scoria di ferro. Numerosi resti di combustione documentano un incendio che avrebbe infine rappresentato la distruzione della fortezza, probabilmente intorno al 259 a.C. in concomitanza della conquista romana dell’Etruria e dell’Isola d’Elba. A testimonianza della posizione strategica sul sito sono state costruite nella 2° guerra mondiale delle postazioni militari.
Punto di interesse 8 B – Il mirto (aspetti botanici)
Si tratta di un arbusto a foglie persistenti dal tronco ramificato e con rami molto fitti, dal portamento globoso ma irregolare che può raggiungere i tre metri di altezza. Le foglie sono lucide, opposte, di forma ovale e allungata ad apice acuto: sono aromatiche e se strofinate emanano un piacevole fragranza che può ricordare in qualche modo il profumo dell’arancio per la presenza del mirtenolo. Fiorisce alla fine della primavera e all’inizio dell’estate quando i suoi rami si coprono di numerosi fiori bianchi dai molti stami con le piccole antere gialle. I fiori di 2 o 3 centimetri di diametro sono generalmente solitari, talvolta accoppiati, dal lungo peduncolo che si stacca dall’ascella delle foglie. Le sue bacche sono delle dimensioni di un pisello, del diametro di 6-8 mm, leggermente allungate, di colore blu nerastro, talvolta rosso violaceo a maturità, che risaltano sul verde brillante del fogliame: si tratta di frutti leggermente carnosi, con semi reniformi, di cui sono ghiotti gli uccelli e altri animali. E’ una delle piante tipiche dalla macchia mediterranea, componente di questo ambiente insieme al lentisco, il leccio, il corbezzolo, l’alaterno, l’erica e la fillirea. E’ specie rustica, ma termofila: le sue foglie appaiono tenere ma sono comunque molto resistenti all’aridità estiva; tollera inoltre bene la salsedine spingendosi sino ai margini delle scogliere lungo le coste isolane. Teme i geli intensi comunque poco frequenti lungo le zone costiere elbane. Soffre i terreni calcarei prediligendo i suoli sabbiosi, neutri o acidi, in particolare quelli granitici per cui lo troviamo sui pendii del Monte Capanne o all’Isola del Giglio, dove è chiamato anche mortolo o sui suoli di origine magmatica di Capraia, dove è noto anche come mortella, mentre è quasi assente nella calcarea Pianosa. Il suo areale di distribuzione comprende le coste mediterranee sia lungo le coste europee che quelle dell’Africa settentrionale, spingendosi fino a Madera a ovest e all’Afghanistan ad est.
Punto di interesse 8 C – Il mirto (aspetti etnobotanici)
Il mirto è considerato una pianta della classicità ed ha avuto grande parte nella storia e nelle leggende dei popoli mediterranei. Anticamente era già pianta sacra ai Persiani che col legno alimentavano fuochi sacrificali; simbolo di pace per gli Ebrei, il mirto fu consacrato a Venere e divenne emblema di bellezza, di amore e di pagana felicità nella mitologia greco-romana. In queste civiltà corone realizzate con le sue fronde erano indossate da magistrati, atleti vincitori, poeti e commediografi. I suoi fiori sono tradizionalmente impiegati nelle composizioni nuziali. Il suo legno è pesante e duro e può essere impiegato per lavori al tornio o per fare manici o bastoni. I rami più giovani, sottili e flessibili, erano usati per realizzare ceste o per rivestire le damigiane. E’ pianta che può essere associata al leccio, lentisco, erica e corbezzolo per la produzione di carbone e legna da ardere. Dal punto di vista officinale tutta la pianta può essere usata per finalità balsamiche, astringenti, antisettiche e decongestionanti data la presenza di olii essenziali e sostanze aromatiche. A Capraia, nel caso di lesioni cutanee causate dalla varicella si usava fare bagni rinfrescanti ed emollienti con il decotto di foglie. Ancora il decotto di foglie era utilizzato nella medicina popolare come colluttorio in caso di mal di denti e le foglie contuse e masticate erano applicate sulle gengive come antisettico. Nella tradizione cosmetica il suo olio è impiegato da sempre nella produzione di saponi, profumi e cosmetici: dalle foglie e dai fiori si ottiene un essenza nota come Acqua degli Angeli, lozione tonica per la pelle. All’Elba, nel territorio riese le foglie della Mortella, il nome locale della pianta, inserite fresche nelle calze erano utilizzate contro un’eccessiva sudorazione e il cattivo odore dei piedi. Per quanto riguarda l’uso alimentare le foglie del mirto sono utilizzate per dare sapore a carne e a pesce: anche le bacche sono usate per insaporire arrosti oltre a essere utilizzate ad aromatizzare il vino. Con gli stessi frutti, nelle isole dell’Arcipelago Toscano e nella vicina Maremma si produce il caratteristico liquore di colore rosso scuro. Il fiori del mirto sono inoltre frequentati dalle api per il polline. Non dimentichiamoci infine del valore ornamentale della pianta nella realizzazione di splendidi giardini mediterranei.
Punto di interesse 8 D – Pesca del tonno
Fu già Strabone nel I secolo avanti Cristo a documentarci la presenza dei branchi di tonni nel Tirreno e nei mari vicini all’Elba. Sua è la citazione del thynnoskopeon di Baratti, un punto di osservazione, posto lungo le scogliere poco lontano dalla città etrusca di Populonia, al di là dell’odierno canale di Piombino, postazione che doveva servire a controllare il passaggio dei grandi pesci per effettuarne la cattura con un’antica tonnara. Anche se all’Isola d’Elba l’attività di pesca sarebbe iniziata nella seconda metà del XVI secolo durante il regno di Francesco I dei Medici, granduca di Toscana, fu però il suo successore Ferdinando I a far sviluppare all’isola la pesca del tonno facendo venire dalla Sicilia esperti pescatori trapanesi per importarne le tecniche. Constatato un regolare passaggio dei branchi di tonni si trattava di allestire delle strutture, mobili a mare e fisse a terra, per la cattura dei grandi sgombridi. Dopo i primi tentativi a Capo Bianco, si pescò con successo nel golfo di Portoferraio per quasi due secoli, con le strutture a terra allestite presso la città medicea. Nel 1655 si iniziò anche a pescare più ad ovest, nell’ampio golfo di Procchio, e così una seconda tonnara, munita di relativo marfaraggio, la stabile componente terrestre necessaria alle attività di pesca, fu collocata presso la piccola spiaggia del Bagno di Marciana. Qui furono allestite le strutture dell’Arsenale, dove venivano effettuate la lavorazione dei tonni e le attività per la conservazione del pesce, i magazzini, per far sgocciolare il pescato e per il rimessaggio dei materiali della tonnara e ancora un altro edificio adibito ad abitazione del capopesca, il cosiddetto Rais e di altri pescatori. Sul finire del XVIII secolo fu deciso di spostare l’attività di pesca dal Golfo di Portoferraio all’Enfola sul lato settentrionale del Golfo di Procchio, con il completamento nel 1810 del suo marfaraggio, attuale sede del Parco Nazionale. La pesca delle tonnare che si fronteggiavano affacciandosi tutte e due sull’ampia insenatura ai piedi del versante settentrionale del Monte Capanne, si è protratta, anche se con momenti di alterna fortuna, fino alla metà del XX secolo. Al Bagno di Marciana l’ultima mattanza, seppur assai fruttuosa, fu effettuata nel 1954. All’Enfola la tradizione si è interrotta nel 1958 quando una forte mareggiata trascinò via la rete danneggiandola.
Punto di interesse 8 E – Marciana Marina
Il paese di Marciana Marina si è formato alla fine del Settecento sulla costa settentrionale isolana ai piedi del Monte Capanne e dei centri ben più antichi di Poggio e Marciana, sorti più in alto per il pericolo delle incursioni saracene. L’insediamento si è originato probabilmente da un primitivo agglomerato di magazzini agricoli e marittimi per svilupparsi poi come abitato una volta cessato il rischio delle scorrerie barbaresche lungo le coste elbane. L’edificio più antico, la torre costruita su una sporgenza granitica a ovest, ricorda proprio quell’antico pericolo. Era dunque l’unico edificio che presidiava quel tratto di costa dagli assalti dei pirati. La parte più antica dell’insediamento abitato è riconoscibile invece nell’agglomerato del Cotone, ad est, che prenderebbe il nome dalla grossa scogliera o “cote” granitica che ne costituisce le fondamenta. Il quartiere ha tutte le caratteristiche di un antico centro marinaro, così arroccato sugli scogli, con una piccola insenatura naturale che rappresentava un riparo per le barche. Il Cotone è un gioiello di architettura popolare dove le case si addossano le une alle altre per contendersi quel poco spazio di roccia sul mare e dove la viabilità è rappresentata da vicoli, scalinate e strette stradine. Nel corso dell’Ottocento, con l’incremento delle attività economiche e della popolazione, il nucleo primitivo si è espanso verso ovest, lungo la marina, la spiaggia che terminava con l’altro sperone roccioso sormontato dalla torre. Il lungo molo non esisteva ancora e sarebbe stato costruito solo a partire dal 1911 per cui quello era l’unico ridosso ai venti di ponente e maestrale. I marinesi, stretti tra il monte e il mare optarono per l’elemento liquido divenendo marinai e pescatori, sviluppando la navigazione commerciale e anche un’attività cantieristica per la costruzione di piccoli velieri. Il luogo si è sviluppato con il bel lungomare fiancheggiato dalle case più signorili che delimitavano la campagna, con i vigneti e gli orti che si sviluppavano verso monte cinti da muretti di protezione dal vento e dal salmastro. In prima linea sul mare, lungo la banchina ai primi del novecento era già presente un bel filare di tamerici, oggi ancora esistente e rappresentato da vetuste piante dai fusti imponenti e contorti. Sono le tamerici ritratte nelle suo opere dal celebre pittore Llewlyn Lloyd, di origine inglese, ma livornese di nascita che seguì, perfezionandola, la tecnica macchiaiola e che aveva scelto la marina di Marciana come residenza estiva.
Ultimo aggiornamento
23 Giugno 2025, 15:27