6ª tappa Via dell’Essenza – Via dei Rosmarini

Partenza |
Marina di Campo |
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Arrivo | Lacona |
Tempo medio | 3 ore e 30 minuti |
Lunghezza | 11 km |
Difficoltà percorso | impegnativo |
Dislivello in salita | 485 m |
Ubicazione | Elba Centrale |
Sentieri percorso |
n. 138, 248, 248A, 250 |
Panoramico | ●●●●○ |
Pianeggiante | ●●○○○ |
Ombreggiato | ●○○○○ |
Delle 8 tappe della via dell’essenza, la via dei rosmarini è quella più lunga. La prima parte del tracciato è pianeggiante e facilmente percorribile. Si parte dal porticciolo di Marina di Campo. Dopo aver costeggiata l’ampia spiaggia, si oltrepassa il fosso de La Foce e, percorsi pochi metri di scogliera, si imbocca il sentiero n. 248 che si inerpica tra le abitazioni. In pochi minuti si giunge ad un’ampia carrareccia panoramica e pianeggiante dove la costa a picco sul mare si affaccia sul golfo di Marina di Campo. Immersi nei profumi dei rosmarini, qui particolarmente abbondanti, si passa successivamente poco sopra la minuscola spiaggia di Ischia dove la scogliera digrada dolcemente. Qui il sentiero si fa stretto e, mediante saliscendi che consentono di oltrepassare alcuni impluvi, giunge alla spiaggia di Fonza. Si prosegue con il medesimo andamento fino ad arrivare alla salita che conduce al Monte Fonza, punto più alto del nostro itinerario, dove si imbocca a destra, in discesa, il sentiero n. 248 A. Poco dopo si incontra il bivio con il sentiero n. 250 che imbocchiamo verso nord svoltando a sinistra. Si cammina tra le ginestre che nella stagione primaverile tappezzano i versanti di giallo in un paesaggio affascinante dove non sono presenti insediamenti abitativi. Il percorso segue la linea di costa che delimita ad ovest il Golfo di Lacona, supera il bivio per la spiaggia di Laconella ed arriva, oltrepassato un campeggio, sulla strada provinciale che conduce al centro abitato di Lacona.
Punto di interesse 6 A – Rosmarino (aspetti botanici)
Rosmarinus officinalis è una specie arbustiva spontanea dell’ambiente marino costiero e dell’immediato entroterra. Questa pianta trasforma i pendii isolani tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera in spettacolari distese fiorite di tonalità tra l’azzurro e il violetto, dalle quali si innalza il tipico aroma a profumare l’atmosfera. Il nome deriverebbe dal nome latino Ros-roris (rugiada) e dall’aggettivo marinus, assumendo così la suggestiva denominazione di rugiada marina nell’intento di descriverne la delicata fioritura. Si tratta di un piccolo arbusto sempreverde alto da pochi decimetri a un metro e mezzo che può avere un portamento basso e strisciante (forma rupestris) soprattutto nelle zone costiere esposte ai venti, o più eretto, nelle zone interne e più riparate. Ha fusti legnosi, molto ramificati con corteccia grigia o bruno chiara ed un fogliame denso, fortemente aromatico, di un verde intenso composto da tante piccole foglie lineari e strette, lunghe 15-30 mm, con i margini piegati verso il basso che lasciano intravedere appena una linea bianca, coperta da minuta peluria, sulla pagina inferiore. I fiori, disposti a coppie all’ascella delle foglie all’estremità dei rami hanno calici bilabiati in genere di colore tra l’azzurro e il lilla, il rosa e il bianco. Lo vediamo crescere tra le spaccature delle rocce, ma anche sulle dune costiere, nelle garighe e nelle macchie più interne, rimanendo basso e prostrato nelle posizioni più rocciose e ventose o innalzandosi un po’ di più in alcune cultivar o se in competizione con gli altri suffrutici. La struttura delle foglie coriacee e di forma ericoide rappresenta un tipico adattamento al clima caldo e asciutto proprio delle coste mediterranee che rappresentano l’areale del rosmarino. La sua fioritura si sviluppa dalla primavera all’estate, ma nelle migliori posizioni, come avviene nelle situazioni meridionali e riparate della costa elbana, inizia già nel periodo autunnale protraendosi durante l’inverno per raggiungere il picco nel mese di marzo.
Punto di interesse 6 B – Il porfido
Nell’Elba centro-occidentale sono presenti i porfidi, rocce magmatiche intrusive e filoniane generate da magmi generalmente acidi. La parola deriva dal greco porfyroús che significa viola dato che questo è il colore frequente di tale genere di rocce. La loro struttura è caratterizzata da grandi e visibili elementi cristallini quali il quarzo e il feldspato immersi in una componente di fondo di solito tendente al rosso. Sull’isola troviamo generalmente porfidi granitici o granodioritici. I porfidi più recenti sono quelli incassati nel Monte Capanne (Porfido di Orano); i più antichi e forse più noti sono quelli che hanno intruso il cappello di rocce sovrastante il plutone in risalita e poi scivolato verso est. Tra questi se ne individuano due gruppi: il Porfido di Portoferraio, il più antico (8 milioni di anni), costituito da ammassi e filoni riscontrabili tra l’Enfola e la base della penisola di Portoferraio, attraversa l’isola arrivando a ridosso del Golfo di Lacona; il Porfido di San Martino (7,3 milioni di anni) le cui masse si estendono leggermente ad ovest del precedente, dalle zone di Punta Penisola, La Biodola e Procchio per affacciarsi sul Golfo di Marina di Campo, quelli che appunto stiamo incontrando in questo cammino. Tali rocce magmatiche sono costituite in prevalenza da cristalli spesso ben visibili di quarzo, plagioclasio, feldspato potassico e biotite e hanno una colorazione giallastra più o meno intensa. Per intendersi si tratta della pietra gialla presente nella struttura della porta a mare di Portoferraio, pietra usata insieme al calcare rosato nella creazione del centro storico del capoluogo isolano. Il porfido veniva impiegato in elementi decorativi e per lastricare l’antica viabilità: la tonalità calda di questa pietra si sposa perfettamente con la tonalità rosata dei calcari creando un effetto specchio con quelle che potevano essere le pitture degli edifici, anch’essi caratterizzati dai colori caldi delle ocre rosate o gialle. Il disfacimento dei porfidi dovuto alla millenaria e continua erosione degli agenti atmosferici e relativa trasformazione in una sabbia chiara e dorata ha contribuito a formare alcune delle più belle spiagge isolane quali La Biodola e Procchio e in parte anche quelle di Marina di Campo e Lacona.
Punto di interesse 6 C – Il rosmarino (aspetti etnobotanici)
Detto anche Ramerino in Toscana, è pianta ricca di olii essenziali e molto aromatica, ben nota agli antichi popoli mediterranei che la coltivavano e la usavano nei cerimoniali e nella medicina. I Greci ne bruciavano i rami come incenso e la consideravano sacra ad Afrodite. I Romani ne intrecciavano corone con l’alloro e con il mirto, in onore dei Lari, divinità tutelari della casa. Nel medioevo il rosmarino ebbe un periodo di notevole fortuna: coltivato negli “Orti dei Semplici” presso i conventi e monasteri era una delle essenze più note agli erboristi del tempo. L’aggettivo officinalis, che definisce la specie, indica appunto la consuetudine dell’uso nell’Officium, il laboratorio o farmacia dove si preparavano le medicine. Dalla farmacopea sappiamo che la specie ha proprietà aromatizzanti, aperitive, digestive, antispasmodiche, diuretiche, balsamiche, antisettiche, rubefacenti, stimolanti. Da ricerche effettuate sul territorio elbano il rosmarino sarebbe stato usato a lungo nella medicina tradizionale locale per curare svariati disturbi. Il decotto sarebbe diuretico e sfiammante generico per tutto l’organismo, depurativo renale e anche sonnifero, soprattutto se associato alla camomilla. Lo stesso decotto, molto concentrato, un tempo era utilizzato come detergente per capelli e per il corpo. Le foglie sotto forma di fumacchi sono ottime per curare il raffreddore e come agenti balsamici delle vie respiratorie: seccate sulla stufa, produrrebbero olii essenziali utili contro l’asma e i catarri bronchiali. Nell’Elba orientale c’era la tradizione di confezionare sigarette da fumare con finalità broncodilatatorie, antiasmatiche e fluidificanti del catarro. Ben noto è inoltre l’uso di questa essenza come aromatizzante in cucina, specialmente per gli arrosti di carne e di pesce. Tradizionalmente all’Elba, vista la sua abbondanza, più che delle foglie se ne usavano rametti interi: per far penetrare bene l’aroma si spennellano i cibi con un ramo di rosmarino intinto nell’olio. Il ramerino va usato per arrostire carni di bue, di vitello, di agnello, di pollo e di coniglio e fra i pesci lacerti, muggini, pesci bianchi, con aglio e peperoncino. Si usa anche abbondante rosmarino per insaporire la focaccia, all’Elba detta schiaccia, e per friggere le patate a tocchetti insieme a spicchi d’aglio. E’ eccellente pianta mellifera.
Punto di interesse 6 D – I caprili
Lungo il tratto del sentiero 248 che conduce da Monte Tambone verso il Monte di Fonza sono ancora visibili, ed in discrete condizioni, alcuni domoliti pastorali o “caprili”. Si tratta di costruzioni di pietra murata a secco la cui tradizione avrebbe un’origine antichissima risalendo alle forme nuragiche realizzate dai pastori subappenninici più di tremila anni fa. Simili edifici abbondano per lo più sul massiccio del Monte Capanne, ma proprio presso il Monte Fonza si possono facilmente osservare tre strutture simili. I caprili erano costruiti ed utilizzati sin dalle epoche più remote dai pastori: nelle loro immediate vicinanze di solito si possono ancora riconoscere dei recinti in pietra a secco di 70-100 cm di altezza per il gregge composto da capre o pecore, animali che costituivano una voce importante, fino al secolo scorso, nell’economia agricola isolana. I domoliti hanno una pianta circolare ed una copertura a volta. Il materiale di costruzione impiegato sui pendii del Monte Capanne è ovviamente il granito, mentre qui a Fonza le lastre utilizzate sono di calcare, arenaria e porfidi granodioritici, le rocce che costituiscono il promontorio. Le pietre sono state sapientemente scelte e collocate: le piu grandi e pesanti sono in genere in basso. E’ presente una porta di ridotte dimensioni e, a volte, una piccola finestrella, entrambe a ridosso dei venti dominanti. All’interno si trova un sedile in pietra e il focolare. Qui il pastore poteva ripararsi durante le giornate invernali ed eventualmente pernottare in caso di maltempo. Uno studio effettuato dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena, effettuato con l’ausilio della fotografia aerea, ha censito i resti di più di un centinaio di simili insediamenti sul territorio elbano. La concentrazione massima è stata rilevata sul versante sud occidentale del Monte Capanne. In queste zone molte strutture sono ancora in piedi ed erano utilizzate dai pastori della prima metà del XX secolo. Degli altri caprili le foto aeree hanno rinvenuto solo i resti della base. Probabilmente la tradizione della pastorizia in questi luoghi non si è mai interrotta per più di tremila anni. Le strutture erano mantenute di generazione in generazione, e se eventualmente fossero state distrutte, erano riedificate nello stesso luogo o in siti limitrofi utilizzando le stesse pietre già presenti. Non è un caso che nei pressi di queste strutture, utilizzate fino a non molto tempo fa dagli ultimi pastori elbani, sono stati rinvenuti manufatti fittili e litici vecchi di tremila anni. È perciò importante che simili edifici, una volta censiti e fotografati, siano mantenuti integri e liberati dall’eventuale crescita di vegetazione spontanea.
Punto di interesse 6 E – Lacona
La spiaggia di Lacona è uno dei lidi più conosciuti dell’Elba. Denominata anche Spiaggia Grande, con i suoi 1,2 km di lunghezza, è seconda solo alla spiaggia di Marina di Campo (1,6 km) ed è frequentata e amata da turisti e isolani. La punta della Contessa, uno sperone di roccia metamorfica, definito serpentino, separa a ovest la spiaggia grande dalla baia di Laconella o dell’Omaccio. Le sabbie sono fini e di un giallo dorato, derivante dal disfacimento dei porfidi e dei calcari e arenarie delle alture vicine. Alle spalle dei lidi si trova un’ampia piana dall’antica tradizione agricola. Il pianoro, in leggero pendio dalla base dei colli verso il mare, è ancora parzialmente coltivato mentre buona parte del territorio laconese è occupato da numerose strutture ricettive dove, durante la buona stagione, confluiscono importanti flussi turistici richiamati dalla bella spiaggia e dall’amenità del luogo. E qui che, a partire dagli anni ’60, si sono sviluppati molti campeggi, hotel e ristoranti, oggi accompagnati da altre infrastrutture e servizi per le migliaia di visitatori che scelgono la località per le loro vacanze. La spiaggia e la campagna retrostante in alcune foto di fine anni ’60 appare molto più brulla di oggi e quasi priva di vegetazione arborea. Pochi erano i pini presenti, mentre era ancora quasi intatto il cordone di dune e retrodune coperto dalla flora pioniera e da una bassa macchia mediterranea. Ed è proprio nella selvaggia piacevolezza di questo ambiente quasi irreale tra terra e mare che negli anni ’50 giunsero i primi campeggiatori. Oggi queste aree dunali, piccoli fazzoletti rispetto alle estensioni delle dune atlantiche o a quelle delle coste continentali mediterranee, sono circondate da una pesante pressione umana per cui il Parco Nazionale è intervenuto acquisendo l’odierna zona residua cercando di tutelarne la biodiversità. Lì è ancora un gruppo di piante pioniere a colonizzare i cumuli di sabbia modellati dal vento. Le piantine, perché si tratta di essenze erbacee o tutt’al più di piccoli suffrutici, trattengono la sabbia con le proprie radici, limitando l’erosione eolica, e preparano il terreno per una futura vegetazione più alta. Si tratta di una flora dalle particolari caratteristiche di adattamento che offrono interessanti spunti per lo studio sulla selezione naturale ed evoluzione ambientale e che, specialmente nel periodo primaverile ed estivo, ci offre spettacolari fioriture. Le caratteristiche delle specie in questione sono una estrema resistenza all’aridità e alle temperature del periodo caldo e ai forti venti apportatori di spray salmastro. A tutto ciò va aggiunta la capacità di adattarsi a un terreno incoerente e povero di sostanza organica. Si può ricordare alcune di queste piantine quali la santolina delle spiagge, il trifoglio marino, la carota di mare, la calcatreppola marina, la rughetta di mare, la camomilla marina, il giglio di mare e la soldanella delle sabbie: piccole piantine che vale la pena tener presente e non calpestare nel nostro approssimarci agli arenili.
Ultimo aggiornamento
23 Giugno 2025, 15:27